Il Gruppo di studio, con la Relazione di cui si tratta, prende spunto dalle indagini predisposte a riguardo a livello nazionale, nonché dalle esperienze di altri Paesi dell’Unione europea.
Ciò ha consentito di predisporre un questionario diretto ad acquisire informazioni sulle principali criticità sorte relativamente allo smart working, soprattutto durante la regolamentazione emergenziale del biennio 2020-2021.
Se tale modalità di svolgimento del lavoro, prima della pandemia, ha riguardato soprattutto professioni e mansioni particolari, successivamente con la legislazione emergenziale viene imposta la modalità agile in gran parte dei settori pubblici e privati.
Emerge quindi come il lavoro agile della post-pandemia possa diventare uno dei temi prioritari nella contrattazione collettiva, sia a livello aziendale, che a livello nazionale di categoria.
Un primo dato emerso dall’indagine è che il grado di adozione del lavoro agile aumentato in misura considerevole rispetto al periodo pre-pandemico. Durante la pandemia, infatti, ha interessato una quota tra il 28% e il 35% della forza lavoro, a fronte delle modeste percentuali rilevate alla vigilia del lockdown.
La consultazione delle parti sociali e l’analisi dei contratti collettivi che hanno regolato lo svolgimento del lavoro in modalità agile, sia nella fase pre-pandemica sia nella fase emergenziale, ha poi confermato che il lavoro agile, dopo una prima fase di adattamento, sembra essere oramai diventato un importante tassello dell’organizzazione del lavoro, specie in quei settori produttivi e dei servizi che meglio si prestano all’esecuzione della prestazione anche da remoto.
Non può affermarsi con certezza se e in che misura questa tendenza si consoliderà nel prossimo futuro, ma, senza dubbio, l’indagine ha accertato una importante diffusione dei contratti collettivi diretti a disciplinare il lavoro agile.
A ciò si aggiunga che nella fase storica attuale stiamo assistendo a grandi trasformazioni che stanno innescando mutamenti molto veloci. Il processo globale di digitalizzazione sta creando le condizioni per un’importante trasformazione dell’organizzazione del lavoro e delle modalità di prestazione dell’attività.
Sempre più alta è l’attenzione alle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, di impiego di risorse rispettose della sostenibilità ambientale e del benessere collettivo, attraverso la riduzione degli spostamenti casa-lavoro e, conseguentemente, dell’utilizzo dei mezzi pubblici e di quelli personali, favorendo, allo stesso tempo, il contenimento delle emissioni di agenti inquinanti.
In tale scenario, è emersa, con tutta evidenza, l’esigenza di procedere a una ridefinizione della disciplina del lavoro agile. Non è un caso che già a partire da novembre 2019 siano state depositate diverse proposte di disegno di legge (due al Senato e otto alla Camera dei Deputati), proprio per il riordino della disciplina in materia di lavoro agile.
Tuttavia, nel corso dei lavori del Gruppo di studio è emerso, altrettanto chiaramente, come la ridefinizione di nuove regole non possa avvenire senza tener presente che i processi di trasformazione non sono ancora del tutto delineati. Dunque, le ipotesi da mettere in campo ben possono trovare il loro terreno ideale nel dialogo sociale e, cioè, nel confronto con le parti sociali.
Di tutto questo si è riferito al Ministro Orlando che ha dato mandato al Gruppo di studio di esaminare le possibili azioni condivise da mettere in pratica con le parti sociali per verificare la possibilità di definire, in via negoziale, una cornice di regole del lavoro agile post-pandemico, individuare, cioè, linee di indirizzo che possano rappresentare un efficace quadro di riferimento per la contrattazione collettiva, senza, al contempo, creare schemi troppo rigidi.
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