- 12 Settembre 2018
- Posted by: porto626
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Demansionamento e Mobbing. Ricorso inammissibile
Cassazione Civile Demansionamento e Mobbing
Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BLASUTTO DANIELA Data pubblicazione: 10/09/2018 Sez. Lav., 10 settembre 2018, n. 21957
Fatto
1. La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva respinto la domanda proposta da DR.M. nei confronti dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza, avente ad oggetto l’accertamento del mobbing.
2. Il ricorrente aveva dedotto che era stato assunto dalla Asl di Lodi con la qualifica di “conduttore di generatori di vapori”; che nel 1995 aveva chiesto e ottenuto il trasferimento presso l’Ospedale di Potenza, ma poiché in detto ospedale la gestione dei generatori era stata privatizzata, era stato dapprima trasferito ad altra struttura e solo in un secondo momento era stato inserito nei ruoli del predetto ospedale, ma come addetto alle cucine; che l’Azienda ospedaliera lo aveva successivamente qualificato come “addetto alla manutenzione delle apparecchiature elettromedicali e manutentore di apparecchiature diverse”; che nel marzo 2006 gli era stata attribuita la qualifica di “operatore tecnico specializzato esperto”, categoria C; che era stato esiliato in un locale antigienico e senza telefono.
3. Il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda osservando che, in ordine al preteso demansionamento, il ricorrente aveva omesso di indicare in concreto le mansioni iniziali di
conduttore di caldaie e quelle successive di addetto alle cucine, rendendo così impossibile accertare se le seconde rientrassero o meno nel profilo di appartenenza; che, anche in ordine alla condotta asseritamente persecutoria, non poteva qualificarsi come tale il negato trasferimento ad altra sede.
4. La Corte di appello, svolte alcune premesse in ordine generale in ordine alla responsabilità di tipo contrattuale derivante dall’art. 2087 cod. civ., ha osservato che nel ricorso di primo grado non vi era alcuna specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del danno da dequalificazione, solo genericamente enunciato; che analoghe considerazioni dovevano essere fatti in ordine al lamentato danno da mobbing e al danno morale; che, in particolare, il DR.M. non aveva dedotto, né provato circostanze concrete onde far ritenere che la diversa qualifica attribuitagli potesse avere deteriorato la specifica professionalità posseduta; che l’esternalizzazione del servizio di conduzione caldaie effettivamente impediva all’ospedale San Carlo l’adibizione del DR.M. alle mansioni rivendicate, rendendo al contrario necessitata l’attribuzione di una diversa qualifica; che non erano stati forniti elementi atti ad accertare in che cosa si fossero sostanziate le mansioni di addetto alle cucine e se le stesse potessero configurare il dichiarato demansionamento; che occorreva altresì evidenziare come la successiva attribuzione datoriale della qualifica di “addetto alle apparecchiature varie” fosse stata comunicata aia ricorrente e dallo stesso contestata solo due anni dopo.
5. Per la cassazione di tale sentenza il DR.M. propone ricorso affidato a dieci motivi. Resiste con controricorso l’Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Diritto
1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale esaminato le allegazioni di parte ricorrente, volte a dedurre le circostanze concrete del danno lamentato. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. nella parte in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che non vi fossero elementi di allegazione e di prova da cui desumere che la diversa qualifica attribuita al ricorrente potesse avere deteriorato la specifica professionalità posseduta, omettendo di considerare la richiesta di c.t.u. e la documentazione allegata agli atti. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 cod. proc. civ. e 2103 cod. civ. in merito alla circostanza della esternalizzazione del servizio di conduzione caldaie e all’affermazione che ciò avrebbe impedito all’Azienda ospedaliera di adibire il DR.M. alle mansioni proprie della qualifica di conduttore di caldaie, omettendo di considerare che la qualifica originaria del DR.M. era stata conseguita molti anni prima della esternalizzazione del servizio. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ. in ordine al demansionamento, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare elementi documentali idonei a consentire il confronto delle qualifiche, nonché la richiesta di c.t.u. al fine di stabilire le differenze tra le funzioni proprie della qualifica di appartenenza e quelle di assegnazione. Il quinto motivo denuncia violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. sulla contestazione della modifica della qualifica, per avere la Corte di appello affermato che la qualifica di “addetto alle apparecchiature varie” fu contestata dal ricorrente solo dopo due anni, omettendo di considerare che il DR.M. ebbe contezza della modifica solo nel 2005 e che comunque anche in data anteriore il ricorrente aveva contestato l’attribuzione delle mansioni assegnategli. Il sesto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e consistente nella relegazione del ricorrente in un locale fatiscente: nel ricorso introduttivo si era messo in rilievo che detto locale non era conforme alle regole e alle norme dettate in materia di sicurezza e igiene sul lavoro; a fronte delle richieste del DR.M. di avere a disposizione un locale adeguato, il responsabile dell’amministrazione lo esiliò in un seminterrato dov’era depositato materiale di ogni genere; a seguito delle sue rimostranze, anche il telefono del locale fu rimosso; al riguardo la Corte di appello, che pure nella parte narrativa della sentenza aveva dato atto delle allegazioni, ne aveva completamente omesso l’esame nella parte motiva. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione al fatto che il DR.M. avrebbe contestato in ritardo l’attribuzione della nuova qualifica. L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. per omessa considerazione di fatti controversi e dibattuti in giudizio quali le domande di trasferimento del DR.M.. Il nono motivo, erroneamente rubricato come settimo, denuncia violazione e falsa applicazione deM’articolo 112 cod. proc. civ. per aver omesso di decidere sulla possibilità di produrre in appello alcune prove documentali, tra le quali il C.C.N.L.. Il decimo motivo, erroneamente rubricato come ottavo, denuncia violazione degli 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione agli articoli 2087 e 2103 cod. civ. per non avere la Corte territoriale dato risposta a quanto dedotto, eccepito e richiesto in ordine al danno subito dal DR.M. a titolo di mobbing.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Innanzitutto, giova ricordare che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ove il lavoratore agisca per il riconoscimento del diritto all’assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la possibilità della disapplicazione qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, restando la materia della mansioni del pubblico dipendente disciplinata compiutamente dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (nel testo anteriore alla novella recata dall’art. 62, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2009), che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 cod. civ. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della massima (Cass. n. 18283 del 2010). In tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi aver riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 cod. civ. (Cass. n. 7106 del 2014).
4. La Corte di appello ha evidenziato che non vi erano né allegazioni né prove da cui potesse desumersi il demansionamento o il carattere deteriore della nuova qualifica attribuita. Ha altresì evidenziato come l’assegnazione a mansioni diverse fosse giustificata dalla esternalizzazione della manutenzione delle caldaie e come nulla fosse stato dedotto in ordine alle mansioni effettivamente svolte come addetto le cucine, onde valutarne la riconducibilità o meno alla qualifica di inquadramento.
5. A fronte di ciò, il ricorso sub specie violazione di legge censura in realtà l’esito cui è pervenuta la Corte territoriale nell’esame delle risultanze di causa. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.
6. Quanto al presunto omesso esame della richiesta di c.t.u., va osservato che la consulenza tecnica d’ufficio non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (v. Cass. n. 3191 del 2006, n. 10202 del 2008, n. 3130 del 2011). Nel caso di specie, l’implicito rigetto delle istanze istruttorie è basato sul rilievo del difetto di allegazioni circa i fatti costitutivi del diritto azionato.
7. In ordine alla presunta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., deve rilevarsi che questa è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 24434 del 2016, n. 14267 del 2006). Secondo costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).
8. Tali considerazioni valgono anche in ordine alla deduzione di omesso esame di fatto decisivo rappresentato dalla inidoneità dei locali di svolgimento della prestazione (sesto motivo). Invero, la sentenza ha dato atto che la questione era stata devoluta in appello, ma l’ha implicitamente ritenuta non decisiva, a fronte dell’assorbente rilievo della mancanza di altre allegazioni (sul mobbing).
9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 aprile 2018
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