- 1 Aprile 2019
- Posted by: porto626
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Responsabilità del RSPP che ha sottovalutato il rischio legato all’uso di un carrello elevatore inadeguato alla movimentazione di lunghe travi
Cassazione Penale, Sez. 4, 18 marzo 2019, n. 11708
Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 21/12/2018
Fatto
1. Con sentenza del 31.1.2018 il Tribunale di Teramo, per quanto qui interessa, ha condannato M.D. alla pena di € 2.000 di multa quale responsabile del reato di lesioni personali colpose cagionate a F.P., derivanti dall’infortunio sul lavoro avvenuto nello stabilimento della S.r.l. Corditec con le seguenti modalità: il F.P. stava aiutando il collega PR. – a bordo del carrello elevatore – a caricare 16 travi metalliche (lunghe mt. 8,90 e dal peso di Kg. 74 cadauna) quando, nel mentre il PR., con le travi sulle forche, effettuava una manovra all’indietro, le travi scivolavano in avanti; il F.P., istintivamente, metteva le mani per cercare di trattenere le travi ma veniva colpito, riportando lesioni alla mano sinistra da trauma da schiacciamento (fatto del 20.4.2012).
2. Il Tribunale ha accertato la violazione della prescrizione di cui all’art. 71, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 81/2008, per non avere il datore di lavoro messo a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura di lavoro adeguata al lavoro da svolgere, visto che il carrello elevatore utilizzato era inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate: la larghezza massima delle forche era pari a cm. 78, a fronte di travi lunghe mt. 8,90, per cui l’uso di quel carrello elevatore non poteva garantire la stabilità delle predette travi, che erano scivolate in quanto non perfettamente bilanciate a causa delle pale troppo corte. Il datore di lavoro si era successivamente dotato di un accessorio di sollevamento specifico per il sollevamento di barre di acciaio con portata di Kg. 2000.
Il giudicante ha addebitato a M.D., quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (d’ora in poi: RSPP), di non avere indicato nel Documento di valutazione dei rischi (d’ora in poi: DVR), per ciascuna attrezzatura, tutti gli elementi di rischio, poiché avrebbe dovuto segnalare «che laddove ci si trovi in presenza di travi di una lunghezza piuttosto che un’altra, si doveva usare un carrello piuttosto che un altro e, nel caso specifico, che il carrello utilizzato non era adeguato ai movimento di travi di quella lunghezza se non con l’utilizzo di elementi aggiuntivi quale la forca di sollevamento successivamente acquistata dall’azienda».
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del M.D., lamentando quanto segue. .
I) Violazione di legge in materia di posizione di garanzia ed in relazione agli arti. 16, 17, 18, 32, 33 e 71 d.lgs. n. 81/2008.
Deduce la erroneità del principio di diritto applicato dal Tribunale, in quanto il RSPP non può rivestire una posizione di garanzia nella misura in cui la stessa non è prevista dalla legge. I destinatari delle norme antinfortunistiche sono solo i datori di lavoro, i dirigenti, i preposti e i lavoratori. Il ricorrente non ha assunto alcuna posizione di garanzia essendo privo di poteri gestionali e non potendo mai sostituirsi al datore di lavoro negli obblighi prevenzionistici posti a suo carico.
II) Carenza di motivazione in relazione alla non operatività delle prescrizioni fornite dal RSPP, con interruzione del nesso di causalità per abnorme condotta dal lavoratore.
Deduce che il giudice ha omesso di valutare l’assorbenza del comportamento del lavoratore nel nesso di causa che ha condotto all’evento lesivo. Risulta in fatto che le putrelle sono scivolate in avanti e sono cadute solo quelle legate con nastro adesivo. Il M.D. aveva previsto le modalità corrette di imbracatura anche delle putrelle (catene, funi e brache) e ciò anche rispetto all’utilizzo di bilancieri, sicché il lavoratore, di fatto, ha rimosso il presidio di sicurezza previsto e correttamente apposto sul luogo di lavoro, costituendo tale comportamento causa assorbente e costitutiva del rischio per come attualizzatosi.
Ili) Violazione di legge nella determinazione della pena ed in relazione alla omessa applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.
Rileva che la pena poteva essere determinata in misura consistentemente ridotta laddove si fosse partiti dal minimo edittale e fossero state concesse le attenuanti generiche, in ragione dello stabile quadro familiare e del pieno inserimento sociale dell’Imputato come emergente dagli atti del giudizio.
Diritto
1. Va premesso che il ricorso deve essere qualificato come ricorso per saltum ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., trattandosi dell’impugnazione di una sentenza che avrebbe potuto essere appellata dall’imputato ai sensi dell’art. 593 cod. proc. pen. Tale norma, infatti, esclude l’appellabilità da parte dell’imputato soltanto delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, mentre nel caso è stata applicata la pena della multa.
Conseguentemente non sono deducibili nel ricorso in esame – giusta quanto previsto dal terzo comma dell’art. 569 cod. proc. pen. – le censure di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen., anche se il contenuto delle doglianze può essere interpretato da questa Corte di legittimità, a prescindere dal dato letterale contenuto nel ricorso, secondo quanto sarà meglio specificato nel prosieguo.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La più avveduta giurisprudenza della Corte regolatrice ritiene ormai pacificamente configurabile, nella materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro, la colpa professionale specifica del RSPP – in cooperazione con quella del datore di lavoro – ogni qual volta l’infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare (Sez. 4, n. 16134 del 18/03/2010, Santoro, Rv. 24709801). Al riguardo è stato più volte ribadito che il RSPP risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l’adozione di misure prevenzionali doverose (Sez. 4, n. 2814 del 21/12/2010 – dep. 2011, Di Mascio, Rv. 24962601). Ciò sul presupposto che tale figura, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110701).
Nel caso di specie, pertanto, si deve ritenere corretta in diritto l’argomentazione del Tribunale, che ha individuato la posizione di responsabilità del RSPP nella sostanziale sottovalutazione del rischio riconducibile all’utilizzo di un carrello elevatore inadeguato per la movimentazione di travi aventi lunghezza eccessiva rispetto alla larghezza della forca di sollevamento utilizzata. In tal senso la violazione dei doveri di prevenzione e di informazione facenti carico al RSPP è stata ricollegata alla omessa indicazione al datore di lavoro delle specifiche misure prevenzionali da adottare in relazione alla lavorazione in questione, stante la palese inadeguatezza del macchinario utilizzato e la semplice risoluzione del problema mediante l’utilizzo di elementi aggiuntivi quale la forca di sollevamento successivamente acquistata dall’azienda. E’ stato quindi razionalmente considerato che il M.D., nella sua qualità, si è reso corresponsabile con il datore di lavoro della violazione della normativa prevenzionistica che imponeva di rendere conforme il carrello elevatore ai requisiti di sicurezza, e tale inadempimento ha concretizzato proprio il rischio che la misura prevenzionistica omessa avrebbe dovuto impedire.
3. Il secondo motivo è parimenti infondato.
La doglianza è prospettata ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per cui non sarebbe consentita ai sensi dell’art. 569, comma 3, cod. proc. pen.; ma essa può essere ricondotta nell’alveo della violazione di legge, nel senso di asserita erronea applicazione, nel caso di specie, del disposto normativo di cui all’art. 41 cod. pen. in tema di interruzione del rapporto di causalità; inoltre, il ricorrente prospetta anche una sostanziale assenza di pronuncia sul punto, riconducendo la censura nell’ambito della violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Anche sotto questo profilo, tuttavia, sfugge al ricorrente che il comportamento colposo del lavoratore non interrompe, di per sé, il nesso causale ove sia accertato che la condotta omissiva colposa del prevenuto abbia comunque contribuito alla concretizzazione del rischio che si sarebbe potuto evitare mediante l’adozione della misura prevenzionistica omessa.
Ebbene, nel caso che occupa il Tribunale ha congruamente e logicamente individuato la misura prevenzionistica che avrebbe ragionevolmente impedito l’evento, vale a dire l’adozione di una forca avente larghezza adeguata al fine di consentire il corretto bilanciamento delle travi sollevate dal carrello elevatore, onde impedirne la caduta. Ne deriva che l’utilizzo da parte del lavoratore di nastro isolante (in luogo delle previste catene o funi) per l’imbracatura delle putrelle non avrebbe mai potuto costituire causa assorbente dell’infortunio, essendo stato accertato, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, che nel caso concreto il presidio di sicurezza corretto avrebbe dovuto essere costituito (anche e soprattutto) da un carrello elevatore munito di forche di larghezza adeguata, la cui mancanza ha avuto incidenza causale prevalente rispetto all’evento lesivo in disamina.
Ciò esclude qualsiasi violazione di legge rinvenibile sul punto all’interno dell’iter argomentativo della sentenza impugnata.
4. Il terzo motivo è privo di pregio.
Non è dato riscontrare nella sentenza impugnata alcuna erronea applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., posto che si è tenuto conto, quale comportamento successivo al fatto, dell’immediato adeguamento del macchinario ai requisiti di sicurezza, in maniera tale da ritenere congrua, in luogo della pena detentiva, la meno afflittiva sanzione pecuniaria irrogata, sia pure attestata sul massimo edittale.
Quanto alle attenuanti generiche, non risulta che in sede di appello – nei motivi di gravame o nelle conclusioni a verbale – sia stata formalizzata una espressa richiesta di attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. da parte della difesa del ricorrente; pertanto nella sentenza impugnata non è possibile riscontrare alcuna violazione di legge riconducibile al vizio di omessa pronuncia sul punto.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21 dicembre 2018
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