rimozione del materiale plastico dall’estrusore di una pressa ad iniezione

Cassazione Penale, Sez. 4, 19 giugno 2019, n. 27186 

Cassazione Penale, Sez. 4, 19 giugno 2019, n. 27186 – Omessa valutazione del rischio, seppur raro, insito nelle operazioni di rimozione del materiale plastico dall’estrusore di una pressa ad iniezione. Responsabilità del datore di lavoro e del RSPP

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 10/01/2019
Fatto

1. Con sentenza del 17 gennaio 2018 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio con cui G.D., nella qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della M.M.T. s.r.l. e B.DV., nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in cooperazione colposa fra di loro, sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, per avere cagionato a P.DN., operaio addetto alla produzione con macchine di stampaggio ad iniezione, lesioni personali gravi -ustioni di primo e secondo grado al volto ed alla mano destra- da cui era derivata l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni. La condotta colposa rimproverata, sotto il profilo dell’imprudenza, della negligenza e dell’imperizia, nonché dell’inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare dell’art. 2087 cod. civ. e 29 comma 1A del d.lgs. 81/2008, è consistita nell’avere entrambi omesso di valutare il rischio cui erano esposti i lavoratori durante le operazioni di rimozione del materiale plastico dall’estrusore di una pressa ad iniezione, e conseguentemente nel non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione e protezione da attuare ovvero una procedura delle misure da realizzare per l’operazione.
2. Il fatto, per quanto qui non contestato, può essere riassunto nel modo che segue: l’operaio P.DN., con mansioni di addetto allo stampaggio a mezzo di macchina ad iniezione Sandretto S9/500, mentre, intorno alle ore una di notte, si accingeva a rimuovere, mediante mazzetta e scalpello, un grumo di materiale plastico formatosi nell’estrusore, veniva investito da un getto di materiale plastico ad elevata temperatura, causato dalla pressione prodottasi per il riscaldamento del materiale residuato nell’apparecchiatura, rimasta inutilizzata dalle ore sedici del giorno precedente. L’esplosione era stata provocata proprio a cagione dell’occlusione sia del foro di ingresso del materiale, sia dell’ugello che aveva provocato, a seguito della permanenza del materiale all’Interno della macchina, la degradazione del materiale con la formazione di gas.
3. Le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto la responsabilità di entrambi gli imputati per l’omessa valutazione del rischio di esplosione verificatosi per la mancata adozione di un procedimento da seguire nelle ipotesi di necessaria pulitura del macchinario per la formazione di un grumo di materiale al suo interno, nonché per la mancata previsione della ostruzione concomitante di entrambi gli ugelli, evento da considerarsi infrequente ma non straordinario od eccezionale, e quindi non tale da inserirsi come causa autonoma ed interruttiva della sequenza causale fra condotta ed evento. Le decisioni hanno parimenti reputato fattore inidoneo ad escludere la responsabilità degli imputati l’errata scelta del capo reparto di tenere spento il macchinario per un tempo rilevante (dalle sedici all’una di notte), così favorendo la creazione delle condizioni dell’esplosione, trattandosi, anche in questo caso, di condotta non estranea alla mansioni svolte e prevedibile dai titolari delle posizioni garanzia. La decisione del giudice di appello, inoltre, ha precisato, su sollecitazione dell’imputato B.DV., che la sussistenza della sua posizione di garanzia era resa evidente dal fatto che egli -pur privo di poteri decisionali e di spesa che gli consentissero un intervento diretto per la rimozione delle situazioni di rischio- rivestiva la qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e come tale non aveva segnalato la pericolosità della situazione e la necessità di adozione di misure idonea a neutralizzarla, o quantomeno non aveva allegato di averlo fatto.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore, affidandolo a tre motivi.
5. Con il primo fanno valere, ex art. 606, primo comma, lett. b ed e) cod. proc. pen. la violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 40 comma 2A, 590, commi 1A e 3A cod. pen. e 29 comma 1A d. lgs. 81/2008 ed il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale trascurato di verificare se in concreto ed ex ante la chiusura contemporanea di ugello e del foro di ingresso del materiale fosse un fattore di rischio prevedibile, posto che un simile evento non si era mai verificato in azienda, benché l’operazione fosse giornaliera, come emerso dalla testimonianza di C.T., dipendente dell’azienda sin dal 1992 e responsabile della produzione al momento del fatto. Secondo quest’ultimo, infatti, l’operazione era priva di ogni criticità, non presentando alcun problema esecutivo. Sicché, in assenza di ogni forma di esperienza diretta e di prevedibilità, avuto riguardo alla migliore evoluzione della scienza tecnica in ordine alla casistica concretamente verificabile, non poteva ritenersi l’obbligo di predisposizione di modalità di esecuzione dell’operazione diverse da quelle adottate. Conseguentemente nessuna colpa poteva essere addebitata ai titolari delle posizioni di garanzia.
6. Con il secondo motivo lamentano ex art. 606, comma 1A lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione della legge penale con riferimento agli artt. 41, comma 2, 45 cod. pen. e 27 Cost., nonché il vizio di motivazione. Osservano che la Corte territoriale, mal interpretando il combinato disposto degli artt. 41, comma 2 e 45 cod. pen., non ha tenuto in considerazione che l’oggettiva non prevedibilità dell’evento elimina in radice qualsiasi addebito per qualsivoglia genere di responsabilità e che l’evento imprevedibile ex ante deve sol per questo considerarsi inevitabile. Aggiunge che l’evento verificatosi non poteva dirsi prevedibile, perché, come ben spiegato dal consulente della difesa F., la duplice occlusione era situazione da lui riscontrata, in trent’anni di attività, solo in due altre occasioni. La sentenza impugnata, invece, eludendo le argomentazioni difensive svolte con l’atto di appello, così manifestando assoluta carenza di motivazione, si era uniformata acriticamente alla sentenza di primo grado, senza esaminare le critiche mosse con il gravame.
7. Con il terzo motivo censurano la sentenza per erronea applicazione dell’art. 43 cod. pen. e per vizio di motivazione nella parte in cui afferma la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e dei profili di colpa addebitati, nonostante la non rappresentabilità del pericolo e l’imprevedibilità dell’evento impedissero di valutare la necessità di adeguare la normativa cautelare. Rilevano che l’accertamento della prevedibilità deve avvenire a mezzo della c.d. prognosi postuma, mentre entrambi i giudici di merito dimostrano di essere caduti nell’errore cognitivo, cioè nell’errore di giudizio retrospettivo che tende a ritenere prevedibile un risultato- esagerandone la possibilità di verificazione- allorquando questo si sia prodotto. Sostengono che, nondimeno, così facendo, si finisce per costruire la responsabilità penale sulla responsabilità oggettiva da posizione. Concludono per l’annullamento della sentenza impugnata, (allegando le deposizioni testimoniali dei testi C.T. e Casa e del consulente di parte F.):

Diritto
1. I ricorsi debbono essere rigettati.
2. Le doglianze proposte vanno esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse.
3. La principale critica che viene mossa alla sentenza impugnata, affrontata trasversalmente da tutti i motivi di ricorso, è quella di avere formulato un giudizio ex post, anziché ex ante sulla prevedibilità e, quindi sull’evitabilità dell’evento. Al tipo di anomalia verificatasi, infatti, dovrebbe riconoscersi il carattere dell’eccezionalità, posto che la contemporanea occlusione di ugello e del foro di ingresso del materiale, non solo non si era mai avverata in azienda nel corso dei vent’anni di utilizzazione del macchinario, nonostante il quotidiano svolgimento delle operazioni di pulizia dell’estrusore, ma era stata osservata dal consulente F., esperto in materia, solo in altre due occasioni, in trent’anni di attività. La straordinarietà dell’evento prodottosi, proprio in quanto imprevedibile, non consentirebbe di rimproverare al titolare delle posizioni di garanzia alcuna omissione, posto che la non conoscibilità del rischio, comporta la sua conseguente non prevenibilità.
4. Nel caso di specie, la sentenza, confermando integralmente la decisione del primo giudice, ha escluso il carattere di straordinarietà dell’evento, occorso durante l’effettuazione di una manovra quotidianamente svolta, con modalità da lungo collaudate (utilizzo di uno scalpello e di un martello per colpire il grumo formatosi all’interno del macchinario, e contestuale azionamento meccanico di una vite posta all’interno della medesima tramoggia allo scopo dì favorirne il movimento), ritenendo che lo scoppio, dovuto allo sprigionamento violento ed improvviso del gas formatosi nella tramoggia della macchina ad iniezione Sandretto S9/500, durante il fermo dell’apparecchiatura -rimasta comunque accesa- dalle ore 16 alle ore 1 di notte, in quanto evenienza ‘possibile’ fosse comunque prevedibile e quindi evitabile.
5. La Corte territoriale ricalcando gli argomenti spesi dai ricorrenti sulla prevedibilità esperienziale del rischio realizzatosi in concreto giunge a conclusioni antitetiche.
Afferma, infatti, che l’adempimento degli obblighi prevenzionistici in materia di sicurezza sul lavoro, avendo ad oggetto la tutela della salute dei lavoratori, impone al datore di lavoro l’adozione del massimo grado di diligenza e di perizia, così da annoverare “fra gli eventi prevedibili anche quelli meramente possibili”, come quello verificatosi, il cui prodursi poteva essere evitato con adeguata procedimentalizzazione delle modalità operative. Dunque, proprio il dato empirico dell’essersi l’anomalia già presentata, benché in sole due occasioni nei precedenti trent’anni, rende l’evento prevedibile come evento ‘possibile’, il che avrebbe dovuto condurre il garante ad individuarne il rischio, al fine di prevenire la sua realizzazione.
6. Occorre, innanzitutto introdurre una prima puntualizzazione, poiché la questione da affrontare non è, come sembra ritenere il ricorrente, quella relativa all’estensione degli obblighi del datore di lavoro alla previsione dell’evento ‘raro’, ovverosia di quell’evento che sebbene sporadico, è ‘possibile’, in quanto esito dell’infrequente attivazione di una concatenazione di cause non ignote, ma quella dell’individuazione degli strumenti volti ad evitare il rischio noto.
7. Diversamente impostando il problema si finisce, infatti, per affermare che solo l’evento con una qualche rilevanza statistica, impone al datore di lavoro di predisporre tutele per evitare il rischio, lasciando al di fuori degli obblighi di valutazione e prevenzione tutti i rischi che sebbene ‘non ignoti’ si realizzino con tale infrequenza da essere ritenuti appunto ‘rari’.
8. E’ necessario, invece, mutare prospettiva, pur potendosi egualmente muovere dalle stesse considerazioni introdotte dai ricorrenti, con il richiamo del fondamentale principio enunciato dalla Sezioni unite, e ribadito da questa Sezione, secondo il quale “In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’Interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110901; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016 – dep. 16/05/2016, Serafica e altro, Rv. 26725301).
9. I cardini sui quali il datore di lavoro deve fondare l’analisi e la previsione dei rischi sono, dunque, in primo luogo, la ‘propria esperienza’, l’evoluzione della scienza tecnica ed infine ‘la casistica’ verificabile nell’ambito della lavorazione considerata.
10. E’ chiaro che, su questa base, la previsione e prevenzione del rischio deve ‘coprire’ qualsiasi fattore di pericolo evidenziato nell’evoluzione della ‘scienza tecnica’ e non solo dall’esperienza che l’imprenditore sviluppi su una certa attività o su uno specifico macchinario, che egli abbia potuto direttamente osservare. Non basta, cioè, a giustificare la mancata previsione del pericolo nel documento di valutazione dei rischi, né che la sua realizzazione non si sia mai presentata nello svolgimento dell’attività concreta all’interno dell’impresa, né che esso non rientri nell’esperienza indiretta del datore di lavoro, per considerare ‘non noto’ il rischio occorre che anche la scienza tecnica non abbia potuto osservare l’evento che lo realizza. Solo in questo caso viene meno l’obbligo previsionale del datore di lavoro, cui non può richiedersi di oltrepassare il limite del sapere tecnico-scientifico, con un pronostico individuale.
11. La conclusione che deve trarsi da questa premessa è che l’evento ‘raro’, in quanto ‘non ignoto’, è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto rischio specifico e concretamente valutabile. L’evento raro, infatti, non è l’evento impossibile. Anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica, ma il suo positivo realizzarsi è connotato da una ‘bassa’ frequenza statistica.
Ciò comporta, nondimeno, che nel caso in cui la lavorazione comporti un elevato numero di azioni ripetitive particolare cura debba assicurarsi alla previsione del concretizzarsi di rischi riguardanti il prodursi di un ‘evento raro’, la cui realizzazione non sia ignota all’esperienza ed alla conoscenza della scienza tecnica.
12. Nell’ipotesi in esame, dato per scontato che il blocco di entrambi gli ugelli non si fosse mai presentato in precedenza nell’utilizzo del macchinario, la Corte, tuttavia, sulla scorta di quanto riferito dal consulente F., ha preso atto che un simile inconveniente si era già verificato almeno altre due volte su quel tipo di macchinario, ancorché in un lasso temporale molto dilatato.
L’anomalia, pertanto, benché rara -e sinanco molto rara, tenendo conto dello svolgimento quotidiano di quelle operazioni e della loro ripetitività – non era ignota e come tale doveva essere considerata nel documento di valutazione dei rischi, da parte del datore di lavoro -in quanto titolare della posizione di garanzia- anche attraverso la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione – cui compete la conoscenza e la segnalazione di eventuali rischi non effettivamente previsti dal documento di valutazione, sempre emendabile ed integrabile- rientrando fra i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, con l’obbligo, una volta individuato il rischio, di predisporre le misure precauzionali e quelle procedimentali, se necessarie, ad evitare l’evento e quindi idonee ad assicurare la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori.
13. Venendo al profilo sollevato con il secondo motivo di doglianza va rilevato che la prospettazione formulata si concentra sulla configurabilità dell’evento come eccezionale e quindi imprevedibile, il che, secondo il ricorrente comporrebbe l’inquadramento del fatto nell’ipotesi del caso fortuito di cui all’art. 45 cod. pen., esclusivo della punibilità dell’agente. Si tratta di una costruzione che è smentita da quanto fin qui osservato, posto che il caso fortuito “consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente (ex multis Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012 – dep. 12/02/2013, D’Amico, Rv. 25447901) e che l’evento che forma oggetto di questa decisione non era di per sé imprevedibile.
14. I ricorsi, pertanto, deve essere rigettati con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10/1/2019

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